Come sconfiggere l’ansia da prestazione?
Articolo a cura di Dania Cusenza | Psicologa Psicoterapeuta, corniciaia di racconti
Una delle ragioni per le quali più spesso giovani e adulti si rivolgono a me è senza dubbio l’ansia da prestazione. Pare che lo stesso Cicerone ne fosse affetto e vomitasse prima di ogni orazione. Salivazione azzerata, gambe che tremano, mani sudate, cuore che scoppia, sono solo alcuni dei modi con i quali si manifesta. Per coloro che la sperimentano c’è però spesso un denominatore comune: la ricerca spasmodica di calmarsi, ottenendo esattamente l’effetto contrario. Se poi è un’altra persona a dire “calmati!”, ci si sente ancora più a disagio.
Pensiamo ad esempio all’insegnante che per tranquillizzare un alunno gli dice “oggi per te un esercizio facilissimo!”. Con buona probabilità questa frase, detta con le migliori intenzioni, porterà il ragazzo ad essere ancora più agitato perché penserà che non si può permettere di sbagliare. Allora che fare? Dobbiamo uscire dal senso comune e sperimentare qualche strategia apparentemente un po’ folle…
Un caso di ansia da prestazione
Anna tutte le mattine, da più di un anno, neppure il tempo di scendere dal letto che già vomita. Puntuale, come la sveglia delle sette meno dieci, arriva la sua acerrima nemica, l’ansia. Poco importa che in seconda liceo abbia la media dell’8 virgola 8. La notte, a colpi di cancellino, le fa scordare che lei è la prima della classe. Da sempre. Inesorabile arriva quel ditino puntato “e se ti scordassi tutto?”.
Come se non bastasse il fratellino, dall’alto dei suoi 11 anni e dei suoi 6 in pagella, mentre si stropiccia gli occhi ancora vestiti di sonno, arriccia il naso in uno sprezzante “tu della vita non hai capito proprio niente“.
Le rassicurazioni della mamma “dai stai tranquilla, fai un bel respiro, vedrai che andrà bene”, sempre più timide e sussurrate, si sono trasformate in una ruga verticale proprio al centro della fronte. La cicatrice della sua inefficacia.
“E così Anna vorresti che ti liberassi dall’ansia” le dico schioccando le dita come in un colpo di magia mentre lei acconsente con piccoli movimenti del capo. “Peccato – sottolineo rammaricata – proprio lei che è la tua migliore amica, quella che vuole farti andare benissimo a scuola”.
Anna aggrotta le sopracciglia, scettica.
“Mi sa che la tua, più che ansia, è ambizione, voglia di fare bene. Descrivimela un po’. Viene da dentro o da fuori? Che forma ha? Di che colore è?”.
Così piano piano dalla piatta e nebulosa parola “ANSIA” ne esce Ermenegildo, un mostro viola dalle innumerevoli braccia e zampette che da anni alberga nella sua pancia. Una creatura buffa che strappa un sorriso ad entrambe.
“Bene Anna, io vorrei che tu, tutte le mattine, prima che si presenti Ermenegildo da solo, lo chiamassi tu. È grazie a lui che vai così bene. Dovresti fargli un monumento!! Due minuti di vomito e quasi la media del 9. Averne di Ermenegildi!!”.
Un mese dopo.
“Erme, ah sì lo chiamo così ora, ogni tanto viene ma non mi fa più così paura” – chiosa Anna. “Da quando sono io a chiamarlo si è fatto piccolo piccolo. Il monumento non gliel’ho fatto ma una foto sì”. E mi sporge il disegno.