Un’esperienza insolita di Team Working con Lego
Articolo di Irene Giampietro
Di recente ho avuto la possibilità e l’onore di cimentarmi in un ri-adattamento della metodologia Lego Serious Play per facilitare un gruppo di 50 colleghi (con diversi ruoli e provenienti da diverse sedi) sul tema del team working.
Tutti i presenti avevano già avuto varie esperienze di formazione su temi legati alle soft e life skills. L’ultimo argomento trattato, prima dell’esperienza Lego che ho seguito, era stato quello della gestione dei conflitti. Così, a partire dagli spunti che erano emersi, ho colto l’occasione di disegnare un’esperienza ludica e seria al contempo, nella quale approfondire il significato, l’importanza e le difficoltà del lavoro di squadra tentando di costruirne una nuova conoscenza e visione in modelli 3D. Ho raccolto le idee e dato spazio all’immaginazione sapendo che tutto si sarebbe svolto nella romantica cornice di Verona e con il supporto di un uomo e professionista dello spessore di Maurizio Chiamori.Il metodo Lego Serious Play (LSP), nonostante abbia le sue regole ed i suoi tempi, è uno strumento molto duttile ed adattabile a qualsiasi scopo/argomento. Inizialmente non sapevo e mi domandavo come un contesto tanto complesso, per rapporti interni e approccio gestionale di natura tradizionale, avrebbe accolto la mia proposta, ma nonostante i timori e le remore, i risultati (come sempre dall’inizio della mia esperienza professionale) sono stati sorprendenti. Coerentemente con quel che è l’obiettivo del metodo LSP, ossia far emergere quel che le persone pensano o sentono su un dato argomento, e dato lo scarso tempo a disposizione, ho programmato delle attività sviluppandole in una serie di sfide a cui i partecipanti sono stati chiamati a rispondere costruendo singolarmente dei modelli Lego e poi a condividerne la storia/analisi con un compagno di viaggio preassegnato (tenendo in considerazione ruoli/inquadramento, genere, sede di lavoro) al fine di garantire uno scambio di conoscenze e percezioni quanto più ricco possibile.
Dopo una prima esplorazione per riscoprire la propria manualità e riprendere confidenza con un “gioco d’infanzia” come i mattoncini Lego, la prima sfida a cui i partecipanti sono stati chiamati a rispondere è stata quella di rappresentare il loro “collega ideale, cosa lo caratterizzasse o cosa lo dovrebbe caratterizzare”.
Questo primo passaggio serviva ad individuare ciò che ciascuno ritenesse fondamentale ai fini di una proficua collaborazione con i propri colleghi.
Successivamente i membri del team hanno dovuto rispondere alla domanda “come dovrebbe essere per voi un team ideale?”, cercando così di delineare quali fossero i valori portanti da ciascuno attribuito al lavoro di squadra.
Dopo questa prima e generale indagine, ho tentato di scavare più in profondità alla ricerca dei punti di forza e debolezza che ciascuno si riconosceva o che si vedeva riconosciuti dagli altri.
A tutti infatti è stato chiesto di rispondere ad una serie di domande:
- per sondare la percezione del contesto e quindi se fosse accogliente o respingente;
- per comprendere meglio cosa ciascuno si riconoscesse in termini di forza e valore;
- per delineare le possibili aree di miglioramento nel lavoro in team.
Questo percorso, per quanto breve, intenso e segnato a ritmo di musica, ambiva a fornire a tutti i partecipanti degli strumenti legati ad una nuova conoscenza di sé e dei colleghi per stimolare eventuali considerazioni ed un approccio proattivo destinato a trasformare in azioni concrete quanto appreso.
Anche questa volta mi si riconferma l’idea che ogni esperienza di facilitazione e formazione insegna moltissimo a chi riceve, ma ancora di più a chi dà. I feedback raccolti sono stati costruttivi ed entusiastici, ma hanno anche fornito diversi spunti su come migliorare e crescere come singoli e come squadra. Infatti, sono sempre più convinta che si impara costruendo, ascoltando, includendo, facendo.