La “cultura” di Whatsapp a Scuola
WhatsApp è uno strumento sempre più diffuso nel mondo scolastico, ma si tratta di una vera e propria cultura o non-cultura?
È decisamente un fenomeno tipicamente culturale, ma anche sui generis, connesso con l’apprendimento informale ed in netta contraddizione con l’impostazione classica del sistema scolastico italiano, nonostante il richiamo agli apprendimenti formali ed informali più volte richiamati dalle raccomandazioni europee, relativamente all’acquisizione di competenze.
I gruppi WhatsApp come aggregazioni spontanee
I gruppi WhatsApp a scuola nascono in modo spontaneo e non sono formalmente riconosciuti, quindi tutto ciò che viene discusso nella chat non ha alcun valore ufficiale. I gruppi sono molteplici e vari, le cd “chat delle mamme” o il “gruppo della classe X” e, sempre più spesso, ahimè, il gruppo “docenti e studenti” o “docenti e genitori”.
Quali le negatività o i pericoli?
Una chat che coinvolge 40-50 persone non prevede alcuna tutela della privacy e qui si va su responsabilità penali che sembrano essere ignorate. Inoltre, se un gruppo che è ufficialmente convocato in presenza, non può affrontare casi specifici con nomi e cognomi, si è arrivati a pseudonimizzare gli studenti BES con codici appositi, mentre nel gruppo digitale si arriva a dicerie, minacce, insulti che rimbalzano di persona in persona.
Il medium WhatsApp è pensato affinché la digitalizzazione preceda il pensiero (vedasi i messaggi inviati e poi rimossi, pur se c’è sempre qualcuno che li legge prima che siano rimossi!), si propagano informazioni, decisioni e lamentele che dovrebbero invece essere trattate con grande attenzione. Chi viene offeso in una chat difficilmente abbandona il gruppo e si scambiano per opinioni quelli che in realtà sono veri e propri insulti più o meno velati.
Come dovrebbe comportarsi un dirigente scolastico difronte a queste aggregazioni spontanee?
Appare evidente che tutte queste aggregazioni spontanee siano nocive e pericolose per chi le mette in atto, con responsabilità penali che spesso sfuggono ai più, tranne poi ritrovarsi di fronte ad un magistrato. È necessario quindi che un dirigente scolastico discrimini ufficialmente e chiaramente la questione.
Cosa chiarire e comunicare chiaramente?
Innanzitutto che:
- i rappresentanti dei genitori e degli studenti esercitano la loro rappresentanza solo nelle sedi ufficiali, perciò nei gruppi WhatsApp stanno esercitando un’opzione comunicativa personale e non il loro ruolo, il quale viene esercitato nelle riunioni ufficiali e non attraverso meccanismi di consultazione auto-decisi;
- i docenti non devono chiedere ai genitori azioni di supporto ad attività scolastiche via WhatsApp;
- il dirigente scolastico deve essere estraneo a qualunque coinvolgimento in gruppi spontanei, sia pure nati all’interno di una definizione ufficiale a scuola.
La cultura di WhatsApp è innocua, se usata per scopi comunicativi diretti, assolutamente “tossica” se si frappone alle comunicazioni ufficiali della scuola.
La scuola italiana è cosciente della forza di WhatsApp?
La scuola italiana non si sta ponendo con la dovuta profondità il problema della grande forza didattica di WhatsApp sul linguaggio scritto e orale degli studenti. Il dilagare dei messaggi vocali, aggiunti a quelli scritti a tutte le ore del giorno e della notte, rientra in un sistema improprio di controlli e di gestione dei rapporti.
Lo studente, a scuola, è costretto a scrivere con la penna sulla carta, mentre quando esce da scuola comincia a digitare e il suo insegnante diventa WhatsApp, in netta opposizione con quello vero, in carne ed ossa; la scuola insegna ad espandere il linguaggio orale, WhatsApp invece insegna a contrarre ed impoverire il lessico.
Forse è venuto il tempo di comprendere come espansione e contrazione del linguaggio siano strutture comunicative profonde e che entrambe stanno a pieno titolo nel raggio didattico dell’apprendimento.
La distinzione tra comunicazione scritta “alta”, quella su carta, e quella “bassa”, cioè quella corta di WhatsApp, mostra come i tempi travolgano la scuola al di là della sua volontà e allora credo che la cultura di WhatsApp debba far ripensare l’istituzione scolastica in un dialogo franco tra dirigenti scolastici e docenti, da veicolare anche a studenti e genitori.
Articolo a cura di Federica Consolini
Dirigente scolastico e formatore in tecniche comunicative e relazionali